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2 giugno 2025
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2 giugno 2025Oggi, entrando in Rio Terà de le Carampane, non troverete luci al neon o insegne scandalose. Solo calli strette, canali silenziosi, panni stesi alle finestre e il mormorio silenzioso della Venezia di tutti i giorni. Ma fate un salto indietro di cinque secoli e vi ritroverete nel cuore di una delle economie sessuali più organizzate e apertamente gestite d'Europa.
Tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo, Venezia si trovò ad affrontare lo stesso dilemma che ogni ricca città portuale prima o poi si trova ad affrontare: troppa ricchezza, troppe tentazioni e troppi corpi assetati di piacere. Ma a differenza di molti stati cattolici che cercarono di reprimere la prostituzione sotto la bandiera del panico morale, Venezia – da sempre repubblica mercantile – vide un'opportunità di profitto e di controllo.
Qui, a Carampane, la prostituzione non era illegale. Era un business. Lo Stato rilasciava licenze, regolava i prezzi, assegnava i quartieri di lavoro e riscuoteva le tasse. I bordelli non erano nascosti come covi vergognosi; erano integrati nell'economia veneziana come il commercio delle spezie o il mercato della seta.
Le prostitute qui non erano cortigiane d'élite come Veronica Franco, che intratteneva diplomatici, re e poeti. Le donne di Carampane appartenevano alla classe operaia del commercio del sesso: cortigiane di lume — donne che operavano secondo rigide linee guida statali. Molte erano straniere, ex schiave comprate dall'Oriente, o donne provenienti da famiglie veneziane povere con poche possibilità di sopravvivenza. Per alcune, era una brutale necessità; per altre, era un'opportunità di relativa indipendenza in una società che offriva poche opportunità alle donne di controllare il proprio reddito.
Nel 1509, Venezia aveva ufficialmente accorpato la maggior parte dei bordelli autorizzati alle Carampane per monitorare e controllare meglio il commercio. La città assegnò ufficiali governativi chiamati Castaldi per supervisionare il distretto, assicurandosi che i prezzi fossero equi, che le controversie fossero risolte e che i controlli sanitari fossero effettuati regolarmente. Alle prostitute era proibito indossare perle, seta o gioielli costosi – tali lussi erano riservati alle alte cortigiane – ma trovavano comunque il modo di distinguersi: sciarpe colorate, oli profumati, acconciature elaborate e una reputazione sussurrata.
Il nome stesso "Carampane" divenne così legato al mestiere che col tempo si trasformò in un termine gergale veneziano per indicare prostitute anziane o donne ormai passate il fiore degli anni. Ancora oggi, nel dialetto locale, chiamare qualcuno "carampane" significa carampana non è esattamente un complimento.
Sebbene gli affari a Carampane andassero a gonfie vele, il quartiere era anche attentamente isolato. La città costruì barriere e cartelli speciali per separarlo dai quartieri rispettabili vicini. I clienti entravano attraverso vicoli e scalinate specifici, molti dei quali esistono ancora, che si snodavano come un labirinto progettato per nascondere le identità mantenendo al contempo il flusso degli scambi commerciali.
Ma anche qui, i confini tra classe e controllo si confondevano. La nobiltà veneziana, da sempre maestra di scappatoie, visitava spesso Carampane sotto mentite spoglie, stringendo accordi a lungo termine con alcune donne, elevandole occasionalmente ad amanti private o sponsor. Gli scandali scoppiavano spesso: figli di nobili che sposavano ex prostitute, funzionari ecclesiastici che generavano figli in segreto, ricatti che si diffondevano nei corridoi di palazzo.
Uno dei casi più famosi di corruzione a Venezia del 1537 coinvolse un funzionario governativo, Marco Giustinian, che fu accusato di aver protetto il suo bordello preferito dalle ispezioni fiscali mentre segretamente aveva generato due figli con un'ex carampanaLo scandalo arrivò fino al Consiglio dei Dieci, il brutale tribunale di Stato di Venezia, e portò a multe, esilio e alla pubblica riaffermazione del controllo dello Stato sul vizio.
Oggi, Rio Terà de le Carampane è un luogo tranquillo, quasi innocente, il cui passato erotico è appena visibile a meno che non si sappia cosa cercare. Nessuna targa ne commemora la storia. Nessun cartello turistico ne celebra il ruolo. Ma sotto le calme pietre si cela un pezzo notevole della vera identità di Venezia: una città che non ha mai cercato di cancellare il peccato, ma ha imparato a gestirlo come un'altra attività redditizia.
Perché a Venezia anche il piacere si pagava dazio.